I terribili due, i terribili tre, per non parlare poi degli anni seguenti. Iniziano i famosi “capricci”. Un termine che usiamo comunemente per ciò che in pedagogia è l' espressione del proprio stato emotivo.
Solitamente iniziano a presentarsi intorno ai 2 anni che rappresentano quella fase della crescita, quasi di “passaggio” tra i tantissimi cambiamenti che si sono susseguiti repentinamente fino a quel periodo ed il momento di metterli in pratica per consolidare le diverse autonomie apprese.
Capricci e competenza emotiva
Vi è però un aspetto importante non è ancora giunto a maturazione: la competenza emotiva.
Un parolone in questa fase dello sviluppo nella quale a malapena si è a conoscenza dell' esistenza delle emozioni. Si percepiscono certo ma non si conoscono né tanto meno si sa come gestirle.
Ecco allora che arrivano i “capricci”. Perché si è stanchi, perché si ha fame, perché si ha sonno, perché si ha sonno ma si è curiosi di quello che si ha intorno quindi non si sa se dormire o stare svegli, perché si ha qualche dolore fisico, perché si ha caldo, perché si ha freddo…. ogni situazione potrebbe scatenare una reazione che per noi potrebbe essere poco chiara o che potrebbe suscitare nervosismo o timore e non sapere come rispondere per essere efficaci.
Ecco, innanzitutto prendiamo consapevolezza di questo aspetto cioè del fatto che, quando molto piccoli (ma anche fino ai 6-8 anni) i bambini non hanno quella malizia che li induce a fare le cose per farci dispetto ma semplicemente non hanno gli strumenti per comprendere cosa stanno provando né per verbalizzarlo né per gestirlo.
Consigli per la gestione dei capricci
Bene direte, ma una volta appreso questo, cosa fare? Cerchiamo di capire qual è il problema, guardiamoci intorno ed analizziamo la situazione: potrebbe essersi fatto male, potrebbe aver perso qualche gioco, forse ha fame?
Verbalizzare
Verbalizziamo quanto abbiamo percepito dall' osservazione “ti sei fatto male?” “Non trovi il gioco?” E diano un nome all' emozione che il bambino sta provando “sarai arrabbiato per questo” oppure “questa situazione ti rende triste” facendolo sentire compreso (e non giudicato) “lo comprendo” “ti capisco” (possiamo anche aggiungere come ci sentiamo noi in quella situazione “anche io mi sento così quando…” “anche a me capita questo in quei momenti di…”) e, a seconda dell' età e della reazione del bambino possiamo suggerire altre modalità di esprimersi.
Con un bimbo treenne che ha perso un gioco potremmo ad esempio avvicinarci a lui, sedendoci per guardarlo negli occhi, e dirgli “capisco che tu sia arrabbiato; cosa possiamo fare? Questa reazione ci aiuta?” “Ragioniamo su dove possa essere e cerchiamolo insieme”.
A ciò si potrebbe aggiungere “la prossima volta piuttosto che urlare in questo modo potresti fare questo..."
La caccia al tesoro
Una situazione simile potrebbe inoltre diventare uno spunto per una “caccia al tesoro” ad esempio. In questo modo dimostriamo che da un momento negativo possiamo trarre qualcosa di buono.
Ciò che conta però è trasmettere sia comprensione dello stato emotivo dell' altro sia la verbalizzazione dell' emozione; occorre poi fornire gli strumenti per renderla vivibile e, se possibile, trasformarla.
Non sempre sarà possibile passare da un' emozione negativa ad una positiva, e non è necessario che lo sia anzi è fondamentale far percepire la transitorietà del vissuto soprattutto con l' aumentare dell' età e dopo aver dato le basi per la gestione emotiva.
Con un bimbo di sei anni ad esempio potremmo affermare “capisco che sei arrabbiato. Quando si è arrabbiati si riesce a trovare il gioco?” “Quindi Potresti ora fermarti, respirare/rilassarti/ e riprendere tra poco”
In questo modo il bambino avrà la possibilità di vivere l' emozione notando come questa passi da sola e soprattutto come lui stesso sia in grado di attraversarla e raggiungere lo scopo che si era prefissato (in questo caso è utile un rinforzo verbale/affettivo: “hai visto, ce l' hai fatta”, un sorriso, un abbraccio..)
L'importanza delle domande giuste
Sottolineo che porre domande è utile per far prendere consapevolezza all' altro ma aspettiamo che arrivi una risposta. Nel caso in cui le risposte non arrivino prendiamo noi la situazione in mano e poniamoci come modello.
Questo è basilare soprattutto nei primi anni (2-4 anni) quando le abilità di astrazione non sono acquisite e si ha dunque difficoltà a comprendere alcuni concetti. Ricordiamoci infatti che l' imitazione è lo strumento educativo per eccellenza e queste occasioni sono oro per educare.
Poniamoci da esempio cercando di muoverci con l' idea in mente “cosa voglio insegnargli? Cosa voglio che impari da questo?”
Genitori alle prese con i capricci
In conclusione ricordiamo che: un respiro profondo (ma anche più di uno) aiuta ad acquistare la calma e a rendere la risposta più efficace. Se abbiamo bisogno di allontanarci, di prenderci del tempo possiamo farlo, basta dirlo “scusami adesso non riesco, mi sento così ed ho bisogno di…”
Non si è super eroi, si sbaglia e si sbaglierà e va bene così, è importante anche questo perché è ciò che caratterizza il nostro essere umani ed è sinonimo di presenza e l'educazione è questo, è presenza.
Faticosa i primi anni non vi è dubbio perché occorrerà fornire gli strumenti per affrontare le fasi seguenti ma ogni mattoncino posizionato darà vita alla casa che saranno i vostri figli e niente potrà farlo meglio di voi stessi.
Bibliografia
Camaioni L, Di Blasio P, Psicologia dello sviluppo, il Mulino manuali, Bologna, 2007
Gordon T, Insegnanti efficaci, Giunti Editore, Firenze, 2019